I contratti di assicurazione fra codice civile e codice delle assicurazioni

SOMMARIO: 1. Il raccordo con le disposizioni del codice civile. – 2. Informazione e trasparenza nei contratti assicurativi. - 3. I criteri di redazione dei contratti assicurativi. – 4. L’evidenziazione grafica delle clausole gravose. – 5. La nullità dei contratti conclusi con imprese non autorizzate. – 6. Azione di nullità ed effetti della medesima.

1. Il RACCORDO CON LE DISPOSIZIONI DEL CODICE CIVILE

Il contratto di assicurazione è uno dei contratti tipici previsti dal nostro ordinamento, regolato agli artt. 1882-1932 c.c. Tuttavia, in aggiunta a quelle del codice civile, anche il codice delle assicurazioni[1] detta alcune disposizioni sui contratti di assicurazione: il titolo XII cod. ass. è dedicato alle norme relative ai contratti di assicurazione (artt. 165-181 cod. ass.)[2]. Il problema della concorrenza di tali disposizioni non si pone per i contratti anteriori al 1° gennaio 2006, data di entrata in vigore del codice delle assicurazioni (art. 355, comma 1, cod. ass.): per i contratti già conclusi a tale data rimangono in vigore le norme anteriori (art. 354, comma 7, cod. ass.). Invece per i contratti di assicurazione conclusi a partire dal 1° gennaio 2006 abbiamo due corpi normativi: il codice delle assicurazioni, come legge speciale, e il codice civile, come legge generale.

Del resto non si tratta dell’unica area del diritto dei contratti in cui vi è convivenza fra disposizioni del codice civile e norme settoriali. Nell’ambito del diritto bancario è stato scelto un modello simile: mentre alcuni contratti bancari sono disciplinati nel codice civile, altre disposizioni sono dettate nel t.u.b.

In questo articolo ci si vuole occupare delle disposizioni del codice delle assicurazioni che dettano norme generali sui contratti di assicurazione (art. 165-169 cod. ass.), al fine di comprenderne la loro portata e la loro relazione con la disciplina dei contratti in generale e con quella del contratto di assicurazione in particolare. In particolare ci soffermeremo sull’art. 165 cod. ass. (che disciplina il raccordo con le disposizioni del codice civile), sull’art. 166 cod. ass. (che detta i criteri di redazione dei contratti di assicurazione) e sull’art. 167 cod. ass. (che stabilisce la nullità dei contratti conclusi con imprese non autorizzate).

L’art. 165 cod. ass. prevede che “fermo restando quanto diversamente disposto dal presente codice, i contratti di assicurazione, coassicurazione e riassicurazione rimangono disciplinati dalle norme del codice civile”.

Si crea pertanto, in forza di una previsione espressa, un rapporto da legge speciale a legge generale: il codice delle assicurazioni rappresenta una legge speciale che deroga alla legge generale costituita dal codice civile. Ne consegue che le disposizioni del codice delle assicurazioni, in caso di divergenze rispetto a quanto pattuito dal codice civile, prevalgono. È bene però sottolineare che il codice delle assicurazioni contiene, tutto sommato, poche deroghe significative al codice civile[3]. La sua funzione è piuttosto quella di accorpare in un unico testo alcune disposizioni che prima erano collocate in altre sedi. Così come del resto la medesima espressione di “codice” rivela, l’obiettivo è quello di dare ordine e sistematicità alle parti della materia che si trovavano prima fuori del codice civile.

Bisogna dire che è dubbio che una disposizione come l’art. 165 cod. ass. abbia un qualche reale significato. Si deve difatti riflettere che, anche in assenza di una specificazione del genere nel testo della legge, sarebbe ben difficile giungere a una soluzione diversa: il codice delle assicurazioni, in quanto legge speciale, non può che prevalere sul codice civile, quale legge generale.

L’art. 165 cod. ass. è formulato in modo ampio, comprendendo non solo i contratti di “assicurazione”, ma anche quelli di “coassicurazione” e di “riassicurazione”.

Del primo tipo contrattuale abbiamo una definizione legislativa: “l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (art. 1882 c.c.).

Non si rinviene invece una definizione legislativa di “contratto di coassicurazione”. Al riguardo la disciplina del codice delle assicurazioni si limita a dettare poche regole concernenti la coassicurazione comunitaria (artt. 161-162 cod. ass.). Nella sostanza non sussistono peraltro differenze fondamentali fra il contratto di assicurazione e quello di coassicurazione, se non sul lato soggettivo, nel senso che nel contratto di coassicurazione vi è una pluralità di imprese assicurative che assume il rischio.

Non si rinviene nemmeno una definizione legislativa di “contratto di riassicurazione”, nonostante l’attività di riassicurazione venga disciplinata sia nel codice civile (artt. 1928-1931 c.c.) sia nel codice delle assicurazioni (artt. 57-67 cod. ass.). Il codice delle assicurazioni detta la definizione di “attività di riassicurazione”: essa “consiste nell’accettazione di rischi ceduti da un’impresa di assicurazione o da un’altra impresa di riassicurazione” (art. 57, comma 1, cod. ass.).

È quasi superfluo segnalare che il codice civile non contiene solo la disciplina dei singoli tipi contrattuali, ma anche la normativa in materia di contratti in generale. Il rinvio al codice civile operato dall’art. 165 cod. ass. si deve pertanto intendere fatto non solo alle disposizioni sul contratto di assicurazione, ma anche alle norme di parte generale.

 

2. INFORMAZIONE E TRASPARENZA NEI CONTRATTI ASSICURATIVI

L’art. 166, comma 1, cod. ass. prevede che “il contratto e ogni altro documento consegnato dall’impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente”.

A ben vedere, questa disposizione concerne la forma del contratto. Secondo la disposizione generale, la forma costituisce requisito del contratto solo quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità (art. 1325 c.c.). Ciò non avviene per il contratto di assicurazione, che – dunque – non soggiace al requisito di forma a pena di nullità. Difatti né l’art. 1350 c.c., in materia di atti che devono farsi per iscritto, né altre disposizioni specifiche in materia di contratto di assicurazione prescrivono la forma scritta del contratto ai fini della sua validità. L’art. 1888, comma 1, c.c. specifica però che il contratto di assicurazione deve essere provato per iscritto. Inoltre l’art. 1888, comma 2, c.c. dice che “l’assicuratore è obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto”. È dunque vero che non vi è, a rigore, un obbligo di forma ad substantiam; è però altrettanto vero che l’assicuratore deve rilasciare una copia scritta del contratto. Nella prassi deve considerarsi del tutto residuale (direi quasi di scuola) l’ipotesi in cui si instauri un rapporto di assicurazione in assenza di un documento scritto. Rispetto al sistema predisposto dal codice civile (che non prevede la necessità di forma scritta ad substantiam), l’art. 166, comma 1, cod. ass. aggiunge che – se contratto scritto vi è (come è necessario a fini di prova) – allora esso va redatto in modo chiaro ed esauriente.

La ratio della disposizione consiste nella tutela del contraente. Bisogna partire dalla considerazione che fra le parti del contratto di assicurazione non esiste un rapporto di forze equilibrato. Mentre l’impresa di assicurazione è un soggetto che svolge professionalmente l’attività assicurativa, lo stesso non può dirsi per il contraente. Questi può essere una persona fisica oppure una persona giuridica, ma anche in questo secondo caso non può certo conoscere le caratteristiche dei prodotti assicurativi allo stesso modo della controparte. Il legislatore ritiene che tale situazione vada riequilibrata a favore del soggetto debole del rapporto. A questo fine, fra le altre prescrizioni, prevede quella in esame: il contratto deve essere chiaro e esauriente.

La disposizione non lo dice espressamente, ma sottintende che il contratto di assicurazione è praticamente sempre un contratto per adesione. Il contratto viene predisposto dall’impresa assicurativa e consegnato al contraente per la sottoscrizione. I contratti per adesione sono diffusi in diverse aree, soprattutto in ambito bancario e finanziario, oltre che assicurativo. Più in generale si fa ricorso a meccanismi di contratti per adesione tutte le volte in cui una grande impresa fronteggia un consumatore[4] oppure anche un soggetto sì professionale[5], ma piccolo (o che comunque non abbia dimensioni comparabili con quelli dell’impresa). Solo la compagnia è in grado di predisporre tecnicamente in modo corretto le clausole contrattuali. Sotto questo profilo, l’attività svolta dall’impresa è meritevole, in quanto essa opera anche nell’interesse della controparte. L’alternativa sarebbe quella di dover prescrivere l’atto pubblico per i contratti di assicurazione, con intervento del notaio, e con un’attività di questi di controllo della legalità delle pattuizioni intercorse fra le parti. Questa soluzione implicherebbe costi elevati.

Il meccanismo della predisposizione unilaterale (e standardizzata) è gradito alle imprese di assicurazione. Vi è anzitutto una riduzione dei costi, nel senso che ogni impresa predispone un unico contratto, ben fatto e studiato, che verrà poi fatto firmare in tutte le agenzie: la spesa per la predisposizione del contratto è unica. Il motivo però più importante per la standardizzazione dei contratti è il controllo del rischio legale. Con un contratto disciplinato a regola d’arte, le imprese di assicurazione minimizzano i rischi connessi all’esecuzione del medesimo. Se si consentissero deroghe al contratto, i rischi connessi non sarebbero più controllabili centralmente e, in ipotesi, potrebbero diventare troppo onerosi per poter farvi fronte.

Il problema è che, nel predisporre unilateralmente il testo contrattuale, l’impresa assicurativa tende a inserire clausole a sé favorevoli. Questo rischio viene combattuto dal legislatore sotto il profilo dell’informazione: prevedendo sia un dovere di chiarezza e di esaustività (art. 166, comma 1, cod. ass.) sia un obbligo di particolare segnalazione grafica della clausole gravose (art. 166, comma 2, cod. ass.).

Come avviene in tutti i casi di contratto per adesione, i margini di trattativa fra le parti sono quasi inesistenti e riguardano, al più, gli aspetti economici del rapporto contrattuale. Il contraente ha solo l’alternativa di accettare integralmente il contratto oppure di rinunciare alla conclusione dell’operazione. L’espressione del consenso del contraente consiste pertanto quasi esclusivamente nell’accettare oppure nel non accettare il contratto proposto. Ciò nonostante il legislatore esige che il testo contrattuale sia chiaro e esauriente: se il contraente non può – di fatto – negoziare le clausole, si vuole che il medesimo possa quantomeno avere compreso esattamente tutte le pattuizioni contenute nel testo. Solo alcuni soggetti, professionali e di grandi dimensioni, hanno la possibilità di negoziare le clausole dei contratti di assicurazione.

L’art. 166 cod. ass. va letto congiuntamente alle altre norme del codice delle assicurazioni miranti a garantire un’appropriata informazione del contraente (e dell’assicurato)[6]. Il pensiero va in particolare all’art. 120 cod. ass., sull’informazione precontrattuale e sulle regole di comportamento (la disposizione, peraltro, concerne gli intermediari assicurativi). A ciò si aggiunga che l’intero titolo XIII (artt. 182-187 cod. ass.) è dedicato alla trasparenza delle operazioni e alla protezione dell’assicurato. Dal complesso di norme menzionate si ricava il principio della trasparenza, quale regola che deve guidare il rapporto fra imprese di assicurazione e contraenti. L’obiettivo di tale principio è quello di garantire la formazione di un consenso informato.

Si noti infine che l’approccio dell’art. 166 cod. ass. (e, più in generale, del codice delle assicurazioni) è sostanzialmente opposto all’impostazione seguita dal codice civile: il codice civile protegge difatti maggiormente l’assicuratore rispetto all’assicurato, mentre nel codice delle assicurazioni è l’assicurato (unitamente al contraente) al centro dei meccanismi di tutela. Il riferimento è agli artt. 1892 e 1893 c.c., che prevedono sanzioni nel caso di dichiarazioni inesatte e reticenti dell’assicurato: il contratto può difatti essere annullato (art. 1892 c.c.) oppure l’assicuratore può recedere dal contratto (art. 1893 c.c.). Nella prassi viene chiesto al contraente di riempire un formulario nel quale devono essere indicati gli elementi essenziali che consentono poi all’impresa di assicurazione di valutare correttamente i rischi. Si utilizza lo strumento scritto in quanto esso risulta utile a fini probatori: laddove il contraente abbia posto in essere le menzionate inesattezze e reticenze, la compagnia ha la possibilità di attivare i rimedi previsti dagli artt. 1892 e 1893 c.c. In questo modo si tutela l’impresa assicurativa, che – assumendo professionalmente la gestione di rischi – deve essere in grado di valutare in modo appropriato e anticipato la loro importanza. Informazioni inesatte e reticenze possono condurre l’impresa di assicurazione all’accettazione di rischi che, altrimenti, non sarebbero stati assunti oppure a chiedere un premio basso a fronte di rischi elevati. Il contraente, se non caratterizzato da specchiata onestà, potrebbe essere indotto a tacere circostanze rilevanti (oppure a mentire in merito alle medesime), al fine di concludere un contratto per sé maggiormente vantaggioso di quello che potrebbe altrimenti concludere. Il problema per l’impresa assicurativa è, talvolta, l’impossibilità di verificare la veridicità delle affermazioni del contraente e - di conseguenza - la necessità di dargli credito. Per questa ragione gli artt. 1892 e 1893 c.c. puniscono severamente il contraente che fa dichiarazioni inesatte o reticenti, in un’ottica di protezione della compagnia assicurativa. L’obiettivo di tutela delle imprese assicurative (nonché, più in generale, dell’industria delle assicurazioni) è evidente. Nel codice delle assicurazioni, invece, la prospettiva è ribaltata: chiarezza e esaustività (art. 166, comma 1, cod. ass.), evidenziazione grafica delle clausole rischiose (art. 166, comma 2, cod. ass.) nonché, più in generale, i doveri di informazione e trasparenza appesantiscono la posizione dell’assicuratore e mirano a tutelare il contraente.

Nel complesso sussiste ora un sistema ragionevolmente equilibrato, in cui si può parlare di “trasparenza bilaterale”. I soggetti che intendono concludere un contratto di assicurazione devono mettersi reciprocamente a disposizione tutte le informazioni che possono consentire ad ambedue di valutare se, e a quali condizioni, concludere il contratto. È ovviamente diverso il contenuto dell’informazione: nel caso del contraente si tratta essenzialmente delle informazioni che lo riguardano personalmente, con una particolare attenzione ai profili di rischio; per quanto riguarda invece l’impresa di assicurazione si tratta di molte più informazioni. Lo svantaggio in capo all’impresa è solo apparente, in quanto gli oneri maggiori cui è tenuta (essenzialmente redazione del contratto e osservanza di tutta la normativa di settore) sono compensati dalla superiorità economica e informativa di cui dispone nei confronti del contraente.

 

3. I CRITERI DI REDAZIONE DEI CONTRATTI ASSICURATIVI

Passando all’analisi dettagliata dell’art. 166, comma 1, cod. ass., si deve anzitutto rilevare come tale disposizione sottenda che il rapporto contrattuale di assicurazione intercorre fra “l’impresa” di assicurazioni, da un lato, e “il contraente”, dall’altro.

La figura dell’impresa è definita dal codice delle assicurazioni. Il codice delle assicurazioni mutua dall’esperienza comunitaria il sistema delle definizioni. Nel diritto europeo, le normative devono trovare applicazione in tutti i Paesi membri. Al fine di garantire un’applicazione uniforme in tutti gli Stati, è necessario dettare – già a livello comunitario – una definizione dei termini che vengono utilizzati nei testi legislativi. Negli ultimi anni, questa tecnica normativa si è fatta largo anche nel nostro ordinamento, soprattutto nel caso della legislazione di recepimento del diritto comunitario. E in effetti anche il codice delle assicurazioni si apra con una lunga elencazione di definizioni. La definizione che qui interessa è quella di “impresa”, con la quale si intende la società di assicurazione o di riassicurazione autorizzata (art. 1, lett. s, cod. ass.).

Non viene invece fornita dal codice delle assicurazioni una definizione di contraente. Con questa espressione si deve comunque intendere il soggetto che conclude il contratto di assicurazione. Al riguardo bisogna osservare che il legislatore non si riferisce alla sola figura del consumatore, ma a qualsiasi contraente di un contratto di assicurazione (e tale contraente può benissimo essere un soggetto non qualificabile come consumatore). Sotto questo profilo, l’art. 166, comma 1, cod. ass. amplia il significato precettivo dell’art. 35, comma 1, cod. cons., il quale prevede che - nei contratti con i consumatori - le clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile. Mentre la norma del codice del consumo ha un ambito di applicazione limitato ai consumatori, la regola del codice delle assicurazioni ha un ambito di applicazione non limitato ai consumatori. L’estensione della regola di chiarezza a tutti i contratti di assicurazione (non solo quelli conclusi dai consumatori) si giustifica con il fatto che la materia assicurativa è caratterizzata da un alto livello di tecnicismo: la comprensione dei meccanismi assicurativi non è facile nemmeno per i soggetti che, pur essendo professionali, operano in un settore diverso da quello assicurativo.

Con riferimento all’oggetto disciplinato dall’art. 166, comma 1, cod. ass., la disposizione si riferisce in primo luogo al “contratto”. La norma menziona però anche “ogni altro documento”. In questo modo si vuole in sostanza garantire che ogni comunicazione proveniente dall’impresa e indirizzata al contraente presenti le caratteristiche di chiarezza e esaustività. Il contratto è accompagnato dalle condizioni generali di polizza, che – pur presentandosi di norma come un testo separato - costituiscono parte integrante del medesimo[7]. Fra gli “altri documenti” che devono essere consegnati al contraente spicca la nota informativa. Anche se questo documento riceve un’apposita disciplina nell’art. 185 cod. ass., il legislatore si limita – in tale sede - a indicare il suo contenuto. Tale disposizione va allora integrata con l’art. 166, comma 1, cod. ass., che spiega “come” vanno fornite le informazioni: pretendendo la chiarezza e la esaustività anche della nota informativa.

Inoltre dalla disposizione si può ricavare, per quanto implicitamente, che il dovere di chiarezza e esaustività permane per tutta la durata del rapporto fra le parti: sia nella fase precontrattuale sia una volta che il contratto è stato concluso[8]. Del resto la consegna del testo scritto della bozza di contratto avviene, per forza di cose, prima che il medesimo testo sia sottoscritto e, dunque, in una fase precontrattuale. Lo scopo della disposizione è proprio quello di consentire al contraente di valutare in anticipo il contenuto delle clausole che l’impresa gli propone: se non è d’accordo con le stesse, può rifiutarsi di firmare il contratto.

Il contenuto precettivo dell’art. 166, comma 1, cod. ass. è quello di stabilire che il contratto deve essere “chiaro” ed “esauriente”.

Chiaro” significa che il contratto deve essere agevolmente comprensibile a un lettore medio e non può dare adito a significativi dubbi interpretativi. Al riguardo è curioso osservare come la terminologia utilizzata dall’art. 35, comma 1, cod. cons. sia leggermente diversa: in tale sede si utilizza il doppio termine di clausole redatte in modo “chiaro e comprensibile”. Mi pare tuttavia che le due espressioni debbano considerarsi come sinonimi, o meglio: la chiarezza altro non è che uno strumento con cui si realizza la comprensibilità. Ne consegue che il requisito della chiarezza deve essere interpretato come possibilità di facile comprensione. La capacità di comprensione dipende ovviamente dal soggetto destinatario della comunicazione. Considerando che ogni impresa di assicurazione tende a concludere contratti con un numero molto elevato di soggetti, la capacità di comprensione dei contraenti varia molto da caso a caso. L’obiettivo del legislatore non è quello di assicurare che qualsiasi destinatario comprenda effettivamente tutte le clausole contrattuali, ma quello di garantire che un destinatario “medio” sia in grado di comprenderle. Sotto questo profilo si può ritenere che il requisito della chiarezza significa che le questioni tecniche (anche in senso economico-giuridico) proprie della materia assicurativa devono essere esposte nel contratto in maniera tale che siano ragionevolmente comprensibili anche da un soggetto che non è un professionista della materia[9].

Esauriente” significa che il contratto deve disciplinare tutti gli aspetti rilevanti. Volendo effettuare un confronto con la disciplina consumeristica, si nota che il requisito della esaustività non è previsto dall’art. 35, comma 1, cod. cons., che si limita – come si è evidenziato sopra – a riferirsi a chiarezza e comprensibilità. Un contratto “esauriente” non è necessariamente la situazione migliore per il contraente, nel senso che esso rischia di essere eccessivamente lungo. Un testo contrattuale lungo disincentiva l’attenta lettura da parte di chi non lo ha predisposto: sussiste il rischio che il contraente firmi senza avere ben compreso tutti gli effetti che ne derivano. L’art. 166, comma 1, cod. ass. va pertanto interpretato nel senso che il contratto deve essere sì esauriente, ma solo con riferimento a quei profili che assumono ragionevole rilevanza nel caso di specie. Non dovrà pertanto essere disciplinata ogni possibile circostanza, ma dovrà essere regolata qualsiasi evenienza che possa avere una sensibile influenza sugli interessi delle parti. Il requisito della chiarezza e quello della esaustività non possono entrare in conflitto. E questo risultato si può raggiungere solo considerando l’esaustività non in termini assoluti (peraltro ben difficilmente realizzabili), ma come riferita agli elementi principali del contratto.

Cosa succede se il contratto di assicurazione non è chiaro ed esauriente, come invece l’art. 166, comma 1, cod. ass. prescrive? Bisogna anzitutto premettere che questo problema, per quanto interessante dal punto di vista astratto, ha probabilmente scarsa rilevanza pratica. Il giudice dovrebbe difatti stabilire, e non si comprende bene in base a quali criteri, quando un contratto può reputarsi non chiaro e non esauriente nel suo complesso. Un’evenienza del genere è molto più probabile che si realizzi per una singola clausola piuttosto che per il contratto nella sua completezza. In altre parole, mentre mi pare plausibile che determinate clausole possano reputarsi non chiare, ritengo difficile che un contratto nel suo complesso possa essere qualificato tale.

Nell’ipotesi comunque in cui il contratto (oppure sue clausole) siano ritenute non chiare e non esaustive, si pone il problema d’identificare il corretto rimedio di cui dispone il contraente. La questione non è affatto semplice proprio per il silenzio del legislatore (facendo una battuta, si potrebbe dire che il legislatore, che impone ai contratti di essere esaurienti, non è a sua volta esauriente). Del resto non si tratta dell’unico caso in cui un testo legislativo impone a un soggetto di comportarsi in un certo modo, ma omette di prevedere cosa debba succedere se il precetto viene violato. I disorientamenti della giurisprudenza sull’individuazione del corretto rimedio a fronte della violazione delle norme di comportamento degli intermediari finanziari sono noti a tutti[10].

Nel cercare d’individuare un ventaglio di possibili rimedi a favore del contraente, ci si può ispirare proprio alle soluzioni cui è giunta la giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità degli intermediari finanziari. Al riguardo la distinzione fondamentale concerne il momento in cui le inosservanze vengono poste in essere: se tali violazioni si collocano prima della conclusione del contratto, si potrà avere risarcimento del danno oppure annullamento del contratto; se si collocano dopo la conclusione del contratto, si potrà avere risarcimento del danno oppure risoluzione del contratto.

Nel caso dei contratti di assicurazione, le contestazioni del contraente verranno sollevate (e fatte valere in giudizio) solo una volta che il contratto è stato sottoscritto. Ciò nonostante, mi pare che i rimedi azionabili dal contraente debbano essere quelli attinenti alla fase “precontrattuale”: risarcimento del danno sulla base del combinato disposto degli artt. 1337 e 1218 c.c. nonché richiesta di annullamento del contratto per errore o, eventualmente, per dolo (art. 1427 ss. c.c.). Mi pare invece più difficile poter invocare i rimedi “contrattuali”, in quanto il comportamento scorretto dell’impresa assicurativa (mancata redazione in modo chiaro e esauriente) attiene alla fase delle trattative e non alla fase dell’esecuzione del contratto.

Che effetto produce un assicuratore che predispone un contratto assicurativo non chiaro e/o non esauriente? In sostanza inganna il contraente, inducendolo a concludere un contratto che – altrimenti – non avrebbe concluso oppure avrebbe concluso a condizioni diverse; ecco allora che il rimedio appropriato appare essere la richiesta di annullamento del contratto, per errore oppure – nei casi più gravi - per errore[11]. Nella prassi è più probabile che l’annullamento possa essere chiesto per errore, in quanto il dolo della compagnia risulta generalmente difficile da provare.

 

4. L’EVIDENZIAZIONE GRAFICA DELLE CLAUSOLE GRAVOSE

L’art. 166, comma 2, cod. ass. prevede che “le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazione delle garanzie ovvero oneri a carico del contraente o dell’assicurato sono riportate mediante caratteri di particolare evidenza”.

In apertura una precisazione di tipo terminologico. Non mi pare corretto denominare tali clausole come “vessatorie”, dal momento che questa espressione è riservata dall’art. 33 cod. cons. a una serie ben più lunga e articolata di clausole elencate in detto articolo. Sembra invece più preciso indicare le clausole di cui all’art. 166, comma 2, cod. ass. con la dizione di “gravose” o “rischiose”, nel senso che implicano conseguenze particolarmente negative per il contraente o l’assicurato.

L’obiettivo della disposizione è quello di attirare l’attenzione del contraente sulle clausole particolarmente gravose, ovviamente prima che il contratto venga firmato. Nelle intenzioni del legislatore l’evidenziazione grafica dovrebbe indurre la controparte dell’impresa assicurativa a notare la clausola rischiosa, per poi rivolgere a essa particolare attenzione. Laddove il contraente ritenga che la clausola non sia accettabile, potrebbe – teoricamente – cercare di negoziarne il contenuto. Di fatto i margini di trattativa – come si è avuto modo di evidenziare - sono però minimi, trattandosi di contratti predisposti dall’impresa di assicurazione. Questa non è normalmente disponibile ad apportare modifiche a fronte di proposte in tal senso formulate dal contraente. L’unica alternativa concretamente praticabile per questi è di rinunciare alla conclusione del contratto. Così facendo, però, ovviamente non soddisfa il bisogno di garanzia assicurativa che lo aveva spinto a rivolgersi a un’impresa di assicurazioni.

L’evidenziazione grafica di cui all’art. 166, comma 2, cod. ass. non costituisce l’unico meccanismo previsto nel nostro ordinamento per attirare l’attenzione del contraente sulle clausole particolarmente gravose. L’altro sistema è quello, ben noto, previsto dall’art. 1341, comma 2, c.c. Secondo questa disposizione non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, determinate condizioni contrattuali. Vi è da chiedersi per quale ragione il legislatore abbia sentito l’esigenza di aggiungere - nel contesto dei contratti assicurativi – l’elemento della evidenziazione grafica, rispetto al requisito della doppia sottoscrizione delle clausole (già in forza in vigore di una disposizione generale come l’art. 1341, comma 2, c.c.). Probabilmente la ragione risiede nel fatto di voler assicurare un’ulteriore tutela in un ambito delicato come quello assicurativo.

Andrebbe poi compreso se, nei fatti, sia più utile – al fine di attirare l’attenzione del contraente – il meccanismo della doppia sottoscrizione rispetto a quello della evidenziazione grafica. Probabilmente solo degli studi empirici sarebbero in grado di accertare con ragionevole certezza quale sia il sistema migliore. Ciò nonostante, la considerazione da cui partire è che è dubbio che la doppia sottoscrizione sia in sé sufficiente a garantire al contraente un’appropriata riflessione sulle clausole gravose. La mia personale opinione è che l’evidenziazione grafica, purché ben fatta, possa essere più efficace rispetto alla doppia sottoscrizione. La ragione è che il sistema della doppia sottoscrizione consiste, in sostanza, in un mero richiamo della clausola gravosa posto alla fine del testo contrattuale, clausola che si trova però da qualche altra parte nel testo (normalmente composto di più pagine): il lettore del contratto è costretto di volta in volta a sfogliare il contratto per andare a rileggersi il contenuto della clausola, collocata altrove. In parte per pigrizia, in parte per fretta e in parte per incapacità a valutare l’importanza della pattuizione, ciò tende a non avvenire nella prassi: il lettore, compresi i tratti essenziali del contenuto economico del contratto, firma, senza preoccuparsi troppo dei “dettagli”. Mi pare invece che la situazione sia, anche se solo parzialmente, migliore nel caso - ad esempio - di clausole in neretto o sottolineate, che il contraente è in grado di leggere immediatamente, senza necessità di dover trovare nel testo del contratto il relativo passaggio.

Nonostante l’art. 1341, comma 2, c.c. sia più vecchio dell’art. 166, comma 2, cod. ass., mi pare che la prima norma sia formulata meglio della seconda. Nel primo caso, difatti, viene stabilita la sanzione per l’inosservanza: le clausole sono inefficaci. Nel contesto che qui interessa dei contratti di assicurazione, non vi è invece alcuna previsione espressa di una sanzione. Si pone pertanto il problema, che esamineremo fra poco, delle conseguenze di un’omessa evidenziazione delle clausole gravose.

Prima però è utile rilevare che l’art. 166, comma 2, cod. ass. si riferisce solo a determinate clausole, caratterizzate del fatto di risultare particolarmente gravose per il contraente. La disposizione non richiede certo di evidenziare graficamente tutto il testo contrattuale né di evidenziare un ampio numero di clausole. Del resto una soluzione del genere non consentirebbe di produrre l’effetto voluto dal legislatore. L’evidenziazione grafica ha senso in tanto in quanto consente di mettere in risalto alcune clausole (e solo alcune) rispetto ad altre clausole da considerarsi meno importanti e rispetto alle quali l’esigenza di attenta verifica preliminare è inferiore. Il rischio è che le imprese di assicurazioni, nel timore di non evidenziare clausole gravose, finiscano con l’evidenziare quasi tutto il contratto. Volendo procedere “dolosamente” in questo modo, si riesce perfino a realizzare un artificio particolarmente sofisticato. L’impresa che evidenzia quasi tutto il contratto, difatti, soddisfa senz’altro il requisito dell’art. 166, comma 2, cod. ass. (evidenziando le clausole effettivamente gravose), si assicura di non averne tralasciata alcuna (escludendo future contestazioni del contraente) e, infine, genera confusione, perché – come si è detto – evidenziare troppo clausole equivale, nella sostanza, a non evidenziarne nessuna. La prassi contrattuale mostra che un fenomeno simile è capitato con le clausole che necessitano di apposita sottoscrizione ex art. 1341, comma 2, c.c. È infatti usuale reperire contratti che contengono un’elencazione lunghissima di tali clausole, nonostante alcune di esse non necessiterebbero di doppia sottoscrizione. Il contraente non distingue più le clausole importanti da quelle meno importanti e, al posto di crearsi trasparenza, si crea confusione.

Volendo esaminare l’elencazione di clausole gravose fatta dall’art. 166, comma 2, cod. ass., si tratta anzitutto delle pattuizioni che implicano una decadenza. Una clausola del genere, se non rispettata dalla controparte dell’impresa, implica la perdita del diritto che si potrebbe altrimenti far valere. Allo stesso modo la legge esige la particolare evidenziazione delle clausole che implicano nullità. Si tratta di pattuizioni particolarmente rischiose in quanto esse implicano il dovere di restituzione delle reciproche prestazioni. In terzo luogo necessitano di particolare evidenziazione le clausole che limitano le garanzie: esse vanno a incidere sul contenuto economico del contratto, limitando le aspettative di soddisfazione dell’assicurato. Infine la legge richiede la particolare evidenziazione degli oneri a carico del contraente o dell’assicurato. Si pensi ad esempio a quanto dispone l’art. 1913, comma 1, c.c., secondo cui “l’assicurato deve dare avviso del sinistro all’assicuratore o all’agente autorizzato a concludere il contratto, entro tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato”. Un onore a carico del contraente deve considerasi anche l’obbligo di salvataggio, secondo cui l’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno (art. 1914, comma 1, c.c.).

Può darsi che le clausole contenute nel contratto di assicurazione siano la mera riproduzione di previsioni di legge. In linea di principio un contratto ben scritto non dovrebbe riprodurre disposizioni di legge (salvo che la norma sia derogabile e le parti intendano proprio derogarvi): la mera riproduzione di una disposizione di legge in contratto non può difatti produrre alcun effetto. Nella prassi, però, è frequente che ciò avvenga, anche perché la riproduzione di disposizioni di legge può avere un effetto informativo (e per così dire, “pedagogico”) nei confronti delle parti, ricordando loro certi diritti e doveri risultanti direttamente dalla legge. Al riguardo si pone il problema se le clausole riproduttive di disposizioni di legge necessitino della particolare evidenziazione prevista dall’art. 166, comma 2, cod. ass. Un elemento testuale conduce a dare risposta negativa a questo quesito: secondo l’art. 34, comma 3, cod. cons. non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge. Se ne potrebbe argomentare nel senso che le clausole elencate nell’art. 166, comma 2, cod. ass. non necessitano di particolare evidenziazione, se meramente riproduttive della legge. Questa soluzione, tuttavia, presuppone l’identità fra le clausole vessatorie di cui al codice del consumo e le clausole gravose di cui al codice delle assicurazioni. Non mi pare che sia possibile senz’altro questa equiparazione. Anche in un’ottica di tutela del contraente debole preferisco l’interpretazione secondo cui tutte le clausole gravose elencate nell’art. 166, comma 2, cod. ass. necessitano della evidenziazione grafica.

Dal punto di vista soggettivo, la tutela è offerta al “contraente” e all’”assicurato”. L’assicurato è il soggetto, che può essere diverso dal contraente, nei cui confronti si producono gli effetti sostanziali del contratto di assicurazione.

L’art. 166, comma 2, cod. ass. prevede solo che le clausole che si sono illustrate debbano essere riportate con caratteri di particolare evidenza. L’uso del neretto è la tipica modalità con la quale si possono evidenziare le pattuizioni. In alternativa la clausola può essere sottolineata. Un’altra forma di evidenziazione è costituita dal fatto di scrivere la clausola in stampatello. Infine si può pensare di riprodurre la clausola con caratteri più grossi di quelli utilizzati per le altre clausole.

Abbiamo già evidenziato che l’art. 166, comma 2, cod. ass., come – a dire il vero – anche l’art. 166, comma 1, cod. ass. nonché molte altre norme del diritto civile, non stabilisce cosa succeda in caso d’inosservanza. Nell’ipotesi qui in esame si tratta di capire cosa debba succedere quando l’impresa di assicurazione violi il dovere di particolare evidenziazione grafica delle clausole gravose. Mi pare che non possa valere un ragionamento diverso da quello svolto sopra con riferimento alle possibili inosservanze dell’art. 166, comma 1, cod. ass. Tale comportamento si colloca temporalmente prima della conclusione del contratto. I rimedi che si possono far valere sono dunque la domanda di risarcimento del danno (combinato disposto degli artt. 1337 e 1218 c.c.) nonché la richiesta di annullamento del contratto per errore o dolo (art. 1427 ss. c.c.).

Bisogna però dire che, nel contesto delle clausole gravose disciplinato dall’art. 166, comma 2, cod. ass. (non diversamente, invero, da quanto avviene nel caso del comma 1), la concreta applicabilità di rimedi come il risarcimento del danno e l’annullamento del contratto appare piuttosto problematica. Con riferimento al risarcimento del danno, bisognerebbe difatti capire quale sia il danno subito dal contraente in conseguenza della mancata evidenziazione di una clausola. Per quanto riguarda l’annullamento del contratto, il dolo dell’impresa assicurativa è sicuramente di difficile prova. Più facile può invece risultare la prova dell’errore. L’annullamento del contratto, poi, non può certo essere la conseguenza automatica di una qualsivoglia mancata evidenziazione di una clausola: bisogna difatti, in caso di errore, che questo sia essenziale (art. 1429 c.c.) e, in caso di dolo, che questo abbia determinato a contrattare (art. 1439, comma 1, c.c.).

Rispetto a questa prospettiva (risarcimento del danno + annullamento del contratto), mutuabile in sostanza dai ragionamenti svolti dalla sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite citata, vi è tuttavia da chiedersi se non si possa ipotizzare l’applicazione analogica del rimedio previsto dall’art. 1341, comma 2, c.c., il quale sanziona con l’inefficacia le clausole che non vengono specificamente approvate per iscritto[12]. In altre parole si potrebbe far leva sull’uniformità di funzione delle due disposizioni: ambedue vogliono – mediante particolare evidenziazione – attirare l’attenzione del contraente sul contenuto di certe clausole particolarmente rischiose. Attesa l’identità dell’obiettivo perseguito, mi pare si possa sostenere l’applicazione analogica del rimedio. Se così fosse, il giudice potrebbe andare ben oltre la tutela - tutto sommato debole - del risarcimento del danno, per statuire l’inefficacia delle clausole non evidenziate. Una soluzione del genere avrebbe il pregio di tutelare il contraente (le restanti parti del contratto rimarrebbero in forza), “punendo” l’impresa di assicurazione nel senso di cancellare dal testo contrattuale le clausole non debitamente evidenziate.

Interessante mi pare infine il ragionamento, svolto in dottrina[13], secondo cui l’assenza di evidenziazione grafica potrebbe precludere all’impresa di assicurazione la prova della clausola di cui intende avvalersi. Secondo la disposizione generale (art. 1888, comma 1, c.c., applicabile in virtù dell’art. 165 cod. ass., come si è visto sopra), il contratto di assicurazione deve essere provato per iscritto. La forma scritta del contratto di assicurazione, secondo questa prospettiva, sarebbe una forma speciale con riferimento alle clausole gravose, nel senso di comporsi di due elementi: lo scritto, ovviamente, nonché l’evidenziazione grafica. In assenza di questo secondo elemento, la clausola non può essere provata altrimenti.

 

5. LA NULLITÀ DEI CONTRATTI CONCLUSI CON IMPRESE NON AUTORIZZATE

L’art. 167 cod. ass. si occupa di una particolare forma di nullità del contratto di assicurazione, derivante dal fatto che il contratto è stato concluso con un’impresa non autorizzata oppure con un’impresa alla quale è vietato assumere nuovi affari. Più precisamente la disposizione prevede che “è nullo il contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata o con un’impresa alla quale sia fatto divieto di assumere nuovi affari” (art. 167, comma 1, cod. ass.).

La disposizione è posta a tutela del contraente (nonché, in seconda istanza, dell’assicurato), il quale non può ragionevolmente accertare – prima di concludere il contratto - se il soggetto che si presenta come impresa di assicurazione sia effettivamente tale. Vista dal lato dell’impresa abusiva, la norma costituisce una sanzione civile per il fatto che il sedicente assicuratore si permette di operare sul mercato in assenza di autorizzazione e, così, abusando della buona fede dei soggetti che vengono in contatto con esso.

Si noti che il legislatore prevede la nullità dell’intero contratto di assicurazione, non curandosi della possibile nullità di singole clausole. Questa scelta è comprensibile se si riflette sul fatto che è il medesimo contratto nella sua totalità a porsi contra legem, provenendo da un soggetto che non può svolgere attività assicurativa. Dal momento che l’attività assicurativa si svolge essenzialmente mediante la conclusione di contratti, l’impresa che opera abusivamente viene sanzionata anche sotto il profilo della privazione della possibilità di richiamarsi alle pattuizioni contrattuali. Il contratto viene “fulminato” di nullità, a beneficio vuoi della controparte vuoi dell’intero sistema assicurativo.

L’art. 167, comma 1, cod. ass. prevede due distinte condizioni che determinano la nullità del contratto, condizioni che meritano – seppur brevemente - di essere trattate separatamente.

Con riferimento all’autorizzazione, è quasi superfluo ricordare che le imprese di assicurazione devono essere autorizzate al fine di poter svolgere legittimamente la loro attività. Gli interessi che sono in gioco nel settore assicurativo sono sì di natura privatistica, ma anche – e soprattutto - di rango pubblicistico: ne consegue la necessità di una preventiva autorizzazione degli operatori. L’autorizzazione è subordinata al possesso di determinate condizioni, poste nell’interesse di contraente e assicurato (profilo privatistico) e del buon funzionamento del mercato assicurativo (profilo pubblicistico).

Sotto il profilo della tutela privatistica, basti considerare che il contraente prima e l’assicurato poi si relazionano patrimonialmente con l’impresa di assicurazione: il contraente paga (in una volta sola oppure in più fasi) il premio e, successivamente, l’assicurato può ricevere un capitale o una rendita. Quando ne ricorrono i presupposti, l’impresa di assicurazione è tenuta a pagare una somma - talvolta consistente - all’assicurato. Essa deve pertanto presentare dei requisiti di patrimonializzazione (cfr. l’art. 14 cod. ass.), che un’impresa abusiva potrebbe non rispettare. Bisogna che i premi pagati dal contraente non vengano dispersi e che l’assicurato riceva la prestazione cui è tenuta l’impresa assicurativa (maggiore è la prestazione cui è tenuta la compagnia, maggiore è la necessità di tutela). Inoltre la legge prevede dei requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza che gli esponenti aziendali delle imprese assicurative devono presentare. In questo modo si vuole assicurare la competenza e l’onestà dei soggetti che dirigono le compagnie. È di primaria importanza che solo imprese autorizzate operino effettivamente sul mercato, affinché – nel processo di autorizzazione – si verifichi ex ante la sussistenza delle condizioni che si sono elencate.

A fronte della coesistenza di interessi privatistici e pubblicisti nel settore assicurativo, coesistono rimedi di diritto privato e rimedi di diritto pubblico. Per contrastare i fenomeni di abusivismo il legislatore prevede anzitutto la repressione penale (art. 305, comma 1, cod. ass.[14]). L’impresa non autorizzata è poi sottoposta a procedura di liquidazione coatta (art. 265, comma 1, cod. ass.). L’abusivismo è però combattuto anche con armi di tipo civilistico: il legislatore prevede difatti la nullità dei contratti conclusi con imprese non autorizzate. In questo modo si impedisce alle imprese abusive di trarre vantaggi dal loro operato scorretto. Essendo difatti il contratto nullo, esso è improduttivo di effetti: le imprese non possono pertanto fare valere pretese sulla base di tale contratto.

L’art. 167 cod. ass. si riferisce poi al caso dell’impresa alla quale sia fatto divieto di assumere nuovi affari. Si tratta di un provvedimento che viene adottato dall’ISVAP nelle fattispecie previste dall’art. 221, comma 1, cod. ass.: quando l’impresa di assicurazione non osserva le disposizioni sulle riserve tecniche e sulle attività a copertura delle medesime. In condizioni del genere l’ISVAP contesta la violazione e ordina all’impresa di conformarsi alle norme violate entro un certo termine. Se l’impresa non ottempera nel termine assegnato all’ordine, l’ISVAP può - fra le altre iniziative - “vietare l’assunzione di nuovi affari, per un periodo fino a sei mesi, alla scopo di salvaguardare gli interessi degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative” (art. 221, comma 3, cod. ass.).

 

6. AZIONE DI NULLITÀ ED EFFETTI DELLA MEDESIMA

La legge prevede opportunamente che la nullità può essere fatta valere solo dal contraente o dall’assicurato (art. 167, comma 2, cod. ass.).

Come è noto, la regola generale posta dal codice civile è diversa: la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse (art. 1421 c.c.). La regola generale ben si spiega con il fatto che la nullità consegue a vizi particolarmente gravi: vi è pertanto un interesse dell’ordinamento che chiunque vi abbia interesse azioni la nullità. Questa soluzione risulta però in certi casi, in particolare nell’ipotesi di squilibrio di forze fra le parti, ingiusta a danno della parte debole: se la nullità fosse assoluta, anche l’impresa vi si potrebbe richiamare. Nella fattispecie in esame si tratta di un’impresa non autorizzata oppure alla quale è fatto divieto di assumere nuovi affari. In queste condizioni il legislatore, quale ulteriore sanzione, non consente - ritenendolo ingiusto - che l’impresa possa far valere la nullità.

Il medesimo articolo 1421 c.c. specifica però che sono salve diverse disposizioni di legge. La nullità che può essere fatta valere solo da una parte viene detta “relativa” ed è, al di fuori del codice civile, piuttosto diffusa. Fra i casi più significativi si può menzionare l’art. 36, comma 3, cod. cons., secondo cui la nullità di protezione contro le clausole vessatorie opera solo a vantaggio del consumatore. Vi sono poi leggi speciali che prevedono nullità relative: si tratta in particolare delle leggi in materia assicurativa (come quella che stiamo esaminando), bancaria e finanziaria. In materia bancaria le nullità previste dal titolo sulla trasparenza delle condizioni contrattuali possono essere fatte valere solo dal cliente (art. 127, comma 2, t.u.b.)[15]. Similmente in materia finanziaria la nullità dei contratti relativi alla prestazione dei servizi d’investimento può essere fatta valere solo dal cliente (art. 23, comma 3, t.u.f.).

Nel caso specifico del contratto di assicurazione, esclusa ogni possibilità per l’impresa di attivare il rimedio della nullità (per il suo carattere di relatività), i due soggetti titolati a far valere la nullità sono il contraente e l’assicurato. Dal punto di vista sostanziale, si tratta dei due soggetti che hanno un interesse a far valere la nullità. La previsione di legge opera non solo per il contraente, quale soggetto che conclude il contratto, ma anche per l’assicurato. In questo modo si vuole offrire tutela all’assicurato in particolare per il caso di assicurazione per conto altrui[16]. Il nostro codice civile consente che l’assicurazione sia stipulata per conto altrui (art. 1891 c.c.). In questa fattispecie il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto (art. 1891, comma 1, c.c.), ma i diritti derivanti dal contratto spettano all’assicurato (art. 1891, comma 2, c.c.).

La legge prevede espressamente che la pronuncia di nullità obbliga alla restituzione dei premi pagati (art. 167, comma 2, cod. ass.). La disposizione non dice nulla di diverso rispetto alla regola generale: conseguenza della dichiarazione di nullità è l’obbligo di restituire le prestazioni che le parti si sono precedentemente fatte. Obiettivo della previsione è quello di garantire che l’impresa di assicurazioni non autorizzata, e che agisce dunque in modo illegale, si arricchisca dei premi incassati dai contraenti.

La legge stabilisce infine che “in ogni caso non sono ripetibili gli indennizzi e le somme eventualmente corrisposte o dovute dall’impresa agli assicurati ed agli altri aventi diritto a prestazioni assicurative” (art. 167, comma 2, cod. ass.). Questa disposizione costituisce un’eccezione alla regola generale secondo cui la declaratoria di nullità obbliga alle restituzioni: l’obbligo di restituzione non sussiste per gli indennizzi e le somme corrisposte o dovute dall’impresa. Anche se il contratto di assicurazione è a prestazioni corrispettive, nel caso – grave – di un’impresa non autorizzata tale corrispettività viene negata dal legislatore. Mentre - lo abbiamo appena visto - il contraente ottiene la restituzione dei premi pagati, l’assicuratore non può ottenere la restituzione degli indennizzi corrisposti.

Il meccanismo di restituzione delle sole prestazioni del contraente è efficace per prevenire l’abusivismo. L’impresa che ha pagato indennizzi e somme all’assicurato non può avvalersi della pronuncia di nullità per ottenere la restituzione dei medesimi. In questo modo si previene l’abusivismo, nel senso che viene reso più difficile trarre vantaggio economico dell’esercizio di un’attività abusiva.

Il sistema sanzionatorio che si è esaminato è severo e punisce gravemente l’impresa non autorizzata. Da un lato vi è l’obbligo dell’impresa di restituire i premi incassati (con conseguente depauperamento dell’impresa), dall’altro il divieto per l’impresa di chiedere la restituzione degli indennizzi pagati agli assicurati (con conseguente impossibilità per l’impresa di arricchirsi). L’impresa potrebbe pertanto presto trovarsi in una condizione vicina all’insolvenza. Questo vale in particolar modo per l’impresa cui sia stato vietato assumere nuovi affari, in quanto tale compagnia è già traballante dal punto di vista finanziario. La situazione di difficoltà finanziaria potrebbe riflettersi negativamente sui soggetti che - avendo pagato i premi - non riescono a ottenere un indennizzo dall’impresa, pur essendosi verificato un sinistro[17]. Le sanzioni anche economiche previste per l’impresa abusiva potrebbero portarla al suo crollo finanziario rendendo impossibile la soddisfazione di coloro che vantano un credito nei confronti della medesima. Certo, sussiste l’obbligo di restituzione dei premi, ma essi non sono normalmente sufficienti a coprire il danno subito.

VALERIO SANGIOVANNI

Avvocato in Milano e Rechtsanwalt in Francoforte sul Meno

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[1] Sull’introduzione nel nostro ordinamento del codice delle assicurazioni cfr. GAMBINO, Note critiche sulla bozza del codice delle assicurazioni private, in Giur. comm., 2004, I, 1035 ss.; VOLPE PUTZOLU, Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice delle assicurazioni, in Giorn. dir. amm., 2005, 881 ss.

[2] Il titolo XII cod. ass. si divide in sei capi: capo I (disposizioni generali), capo II (assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), capo III (assicurazione di tutela legale e assicurazione di assistenza), capo IV (assicurazione sulla vita), capo V (capitalizzazione) e capo VI (legge applicabile). Al riguardo v. VOLPE PUTZOLU, Le disposizioni relative ai contratti, in Giorn. dir. amm., 2005, 1255 ss.

[3] Cfr. DELLA VEDOVA, Commento all’art. 165 cod. ass., in AA.VV., Commentario breve al diritto dei consumatori, a cura di De Cristofaro-Zaccaria, Padova, 2010, 1628 s.; FARENGA, Commento all’art. 165, in AA.VV., Il codice delle assicurazioni private, diretto da Capriglione, 2° vol, 2° tomo, Padova, 2007, 43 s.; VOLPE PUTZOLU, Commento all’art. 165, in AA.VV., Commentario breve al diritto delle assicurazioni, a cura di Volpe Putzolu, Padova, 2010, 621.

[4] La legge definisce il consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3, lett. a, cod. cons.). In materia di tutela del consumatore nei contratti di assicurazione cfr. LA TORRE, Contratti di assicurazione e tutela del consumatore, in Assicurazioni, 1996, I, 129 ss.

[5] Secondo la definizione legislativa il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale” (art. 3, lett. c, cod. cons.).

[6] Sull’informazione nell’ambito dei contratti assicurativi cfr. BIN, Informazione e contratto di assicurazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 727 ss.; LANDINI, Informativa precontrattuale e trasparenza nell’assicurazione vita, in Assicurazioni, 2007, I, 227 ss.; ROMEO, Informazione e trasparenza nel “codice delle assicurazioni private”, in Studium iuris, 2006, 796 ss.; SANGIOVANNI, Le norme di comportamento di imprese e intermediari assicurativi, in Danno resp., 2010, 93 ss.; SANGIOVANNI, L’informazione precontrattuale degli intermediari assicurativi, in Contr. impr., 2010, 123 ss.; SANGIOVANNI, Informativa precontrattuale e norme di comportamento degli intermediari assicurativi, in Contratti, 2009, 510 ss.

[7] Sulle condizioni generali di assicurazione cfr. BIN, Condizioni generali di contratto e rapporti assicurativi, in Giur. comm., 1994, I, 798 ss.

[8] Cfr. FERRANTE, Commento agli artt. 165-169, in AA.VV., Commentario al codice delle assicurazioni, a cura di Bin, Padova, 2006, 492 s.

[9] FARENGA, Commento all’art. 166, cit., 50.

[10] Il caso più eclatante di una disposizione di legge senza contemporanea previsione di una sanzione per l’ipotesi di sua inosservanza è probabilmente quello delle norme di comportamento degli intermediari finanziari (art. 21 t.u.f.). L’assenza della previsione espressa di una sanzione civilistica per la loro violazione ha determinato il sorgere di una giurisprudenza contrastante. Al riguardo è dovuta intervenire la Corte di cassazione a sezioni unite, con due celebri sentenze: Cass., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 133 ss., con nota di Bove; in Contratti, 2008, 221 ss., con nota di Sangiovanni; in Corr. giur., 2008, 223 ss., con nota di Mariconda; in Danno resp., 2008, 525 ss., con note di Roppo e di Bonaccorsi; in Dir. banc. merc. fin., 2008, 691 ss., con nota di Mazzini; in Dir. giur., 2008, 407 ss., con nota di Russo; in Giur. comm., 2008, II, 604 ss., con nota di Bruno-Rozzi; in Giust. civ., 2008, I, 2775 ss., con nota di Febbrajo; in Riv. dir. comm., 2008, II, 155 ss., con nota di Calisai; in Società, 2008, 449 ss., con nota di Scognamiglio. Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione è che la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione dl contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti fra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contratto d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c.

[11] In questo senso FERRANTE, op. cit., 500 ss., che utilizza la suggestiva espressione di “dolo redazionale” per indicare il comportamento dell’impresa assicurativa che predispone un contratto volutamente non chiaro e non esauriente.

[12] In questo senso BALLARANI, Commento all’art. 166 cod. ass., in AA.VV., Le assicurazioni, a cura di La Torre, 2a ed., Milano, 2007, 528; CAVALLO BORGIA, I contratti di assicurazione (artt. 165-169; 173-175), in AA.VV., Il nuovo codice delle assicurazioni, a cura di Amorosino-Desiderio, Milano, 2006, 333.

[13] DELLA VEDOVA, Commento all’art. 166 cod. ass., cit., 1635.

[14] Sull’abusivismo assicurativo cfr. LANDINI, Abusivismo assicurativo: aspetti penalistici del codice delle assicurazioni private, in Dir. pen. proc., 2006, 672 ss.; MERONI, Commento agli artt. 305-308, in AA.VV., Commentario al codice delle assicurazioni, a cura di Bin, Padova, 2006, 807 ss.; PIZZOTTI, Le conseguenze dell’abusivismo assicurativo sul contratto di assicurazione – I parte, in Resp. civ. prev., 2010, 465 ss.; PIZZOTTI, Le conseguenze dell’abusivismo assicurativo sul contratto di assicurazione – II parte, in Resp. civ. prev., 2010, 685 ss.; SANGIOVANNI, Attività assicurativa e di intermediazione assicurativa e abusivismo, in Dir. econ. ass., 2010, 333 ss.

[15] La materia dei contratti di credito ai consumatori è stata modificata recentemente, in attuazione del diritto comunitario, dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141. Sulla riforma cfr. CARRIERO, Brevi note sulla delega per l’attuazione della nuova direttiva sui contratti di credito ai consumatori, in Contratti, 2009, 1146 ss.; COSMA-COTTERLI, La direttiva sul credito ai consumatori: alcune implicazioni giuridiche ed economiche, in Banca impr. soc., 2008, 291 ss.; DE CRISTOFARO, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contratti, 2010, 1041 ss.; INDRACCOLO, Credito al consumo e principio di protezione effettiva del contraente debole. Prime osservazioni sulla direttiva 48/08/CE, in Rass. dir. civ., 2010, 267 ss.; PAGLIANTINI, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi, in Obbl. contr., 2009, 295 ss.

[16] In tema di assicurazione per conto altrui v. BOGLIONE, L’interesse nell’assicurazione per conto altrui e per conto di chi spetta e l’ineliminabile differenza tra l’agire per conto e lo stipulare a favore, in Dir. mar., 2008, 468 ss.; CUOCCI, Il tormentato inquadramento dell’assicurazione per conto altrui nel contratto a favore di terzo, in Danno resp., 2008, 482 ss.; DELLI PRISCOLI, Assicurazione per conto altrui e foro del consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 1056 ss.; DE NICOLA, Assicurazione per conto altrui, obbligo di consegnare la polizza e posizione dell’assicurato, in Banca borsa tit. cred., 2008, II, 733 ss.; LA TORRE, La responsabilità di chi stipula un’assicurazione per conto altrui senza renderla nota all’assicurato, in Giust. civ., 2003, I, 1991 s.; LA TORRE, Un chiarimento sull’assicurazione per conto altrui (art. 1891 c.c.), in Giust. civ., 2002, I, 899 ss.

[17] Cfr. sul punto FARENGA, Commento all’art. 167, cit., 58 ss.