Nemmeno il mondo forense è rimasto immune alla diffusione capillare delle strumentazioni informatiche e di internet, portando gli operatori giuridici a riflettere sulla tematica della rispondenza della visibilità sul web di difensori tecnici ai canoni deontologici.
L’attuale art. 17 del Codice Deontologico Forense (novellato prima con delibera del CNF del 26.10.2002, successivamente con delibera del 18.01.2007) permette agli avvocati, nel rispetto dei canoni di correttezza e verità, di segretezza e riservatezza e, infine, del decoro e della dignità della professione di adoperare siti web con domini propri direttamente riconducibili agli stessi.
La finalità è quella di evitare che gli avvocati, dietro le mentite spoglie di siti imprenditoriali o altre attività professionali, promuovano in modo surrettizio i propri studi legali.
In perfetta linea alla ratio della disposizione in parola, si deve adottare una chiave di lettura più ampia della nozione della riconducibilità all’avvocato dello spazio internet, rifacendosi al concetto di trasparenza della presenza mediatica del professionista legale.
Ciò che rileva ai fini della responsabilità civile, penale o deontologica è il rapporto che si instaura tra l'avvocato e lo spazio di server che egli usa nella rete e non l'appartenenza fisica o giuridica dello strumento informatico allo studio legale. Un’osservazione non di modico valore, se si pensa alla possibilità di poter creare pagine proprie appaggiondosi a domini appartenenti al fornitore del servizio internet.
In altre parole, sarà pienamente sufficiente constatare che la comunicazione professionale dell’avvocato racchiuda informazioni equivoche circa la natura e lo scopo delle proprie prestazioni.
Per non incorrere in questi spiacevoli convenienti l’avvocato potrà aprire un proprio sito internet, dandone comunicazione “tempestiva” al Consiglio dell’Ordine d’iscrizione, indicando esistenza, forma e contenuto, al fine che quest’ultimo possa vigilare e garantire il rispetto delle norme del Codice Deontologico Forense.