I termini processuali e i termini di prescrizione e di decadenza

Per termine processuale si intende un periodo di tempo entro il quale o dopo il quale deve o può compiersi una determinata attività processuale.

I termini processuali sono stabiliti dalla legge (termini legali); possono essere stabiliti dal giudice, anche a pena di decadenza, ma solo per espressa previsione di legge (termini giudiziari).

I termini processuali sono riconducibili ad una delle tre categorie tradizionali: termini dilatori (per es. termini di comparizione), termini perentori (per es. termine per l’impugnazione, termine per l’integrazione del contraddittorio), termini ordinatori (per es. termine per il deposito della sentenza).

  • I termini dilatori consistono in un periodo di tempo che si inserisce tra un atto perfetto nella sua struttura (per es. atto citazione) ed un determinato effetto giuridico (per es. facoltà di comparire); essi si limitano a paralizzare temporaneamente l’effetto di un atto completo nei suoi elementi essenziali.
  • Sono perentori soltanto i termini dichiarati tali espressamente dalla legge o dal giudice nei casi previsti dalla legge . Il carattere perentorio di un termine può anche essere desunto dalla funzione che esso è destinato ad assolvere (v. Corte Cost. ord. 107/2003).
  • La categoria dei termini ordinatori è una categoria di risulta che raccoglie tutti i termini che non sono dilatori o perentori.

La distinzione è importante non solo per le diverse conseguenze in caso di inosservanza dei termini, ma anche perché i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti, mentre i termini ordinatori possono essere abbreviati o prorogati, anche di ufficio, prima della scadenza, così come previsto dagli artt. 153 e 154 cpc. Anche i termini dilatori possono subire modificazioni (dispensa, abbreviazione) nei casi previsti dalla legge; è dibattuta in dottrina la questione della generale applicabilità dell’art. 154 cpc anche a detti termini.

Dai termini processuali vanno tenuti distinti i termini di prescrizione e di decadenza, i quali operano sul piano del diritto sostanziale e trovano la loro disciplina nel codice civile (rispettivamente artt. 2934 /2963 cc e artt. 2964/2969 cc).

In particolare, la prescrizione determina l’estinzione dei diritti soggettivi ove non esercitati dal titolare per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge.

La decadenza comporta l’estinzione di un diritto (di regola potestativo) per decorso di un termine perentorio stabilito dalla legge o dalle parti per il compimento di determinati atti, senza che possano assumere rilevanza le circostanze oggettive o soggettive che hanno determinato l’inutile decorso del tempo.

La prescrizione non può essere rilevata di ufficio, ma deve essere fatta valere dalla parte, in via di eccezione o in via di azione. Anche per la decadenza è necessaria l’eccezione (o la domanda) di parte, salvo che , trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (i cd. diritti indisponibili, come i diritti relativi allo status, i diritti della personalità, i poteri di diritto familiare ecc.), il giudice debba rilevare le cause di improponibilità dell’azione.