Ancora sul decreto milleproroghe, alla luce della sentenza 78/2012 della Corte costituzionale

Pochi giorni dopo l’edizione dell’elaborato “Palingenesi e metanoia nella società. Miti sistemici del diritto e dell’economia” si è avverata un’altra previsione.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 78/2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 61 del D.L. n. 225 del 29/12/2010, convertito con legge n. 10 del 26/2/2011.

La questione si poneva in questi termini: la norma de qua, detta salvabanche numero tre, stabiliva che la prescrizione dei diritti nascenti dalle operazioni in conto corrente iniziava a decorrere dalla data della “prima annotazione”. La Redazione di scadenzeprocessuali.it postava in data 20/04/2011: “ L’apertura di credito bancario, l’anatocismo e la prescrizione: studi e riflessioni alla luce del decreto mille proroghe 2011”.

Riportiamo le nostre conclusioni:

“Questa legge non puo’ avere, a causa della stravagante formulazione, sconnessa con altra normativa e principi radicati nella civilistica, prescindendo ancora da rilevanti motivi di incostituzionalità per illogicità nella formulazione, alcuna applicazione concreta.”

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata norma. In primis il Giudice delle leggi ha evidenziato il contrasto in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo. Infatti l’introduzione delle leggi “interpretative” ( v. il testo della norma fulminata) ha luogo soltanto nel caso di un contrasto serio e rilevante tra norme regolanti la medesima fattispecie, mentre non ricorre quando il Giudice risolutore del contrasto, cioè le Sezioni Unite della Cassazione, ha unificato l’indirizzo, il che è avvenuto con la sent. SU 24418/2010.

Sotto il profilo normativo europeo devesi osservare che la legge interpretativa è consentita, sia pur con rigorosissimi limiti, esclusivamente in presenza di un “interesse pubblico preminente” idoneo a consentire l’introduzione della norma interpretativa retroattiva, agente, di conseguenza, sui giudizi in corso. L’Europa ha posto, dunque, limiti rigorosi e indefettibili che devono essere recepiti dal Giudice delle leggi. Nel caso in questione l’ “interesse” de quo non è nemmeno stato nominato ( e nemmeno avrebbe potuto esserlo in quanto la norma era a solo favore del sistema bancario).

Sussiste ancora la violazione dell’art. 3 della Costituzione italiana in quanto la norma censurata, facendo retroagire la disciplina prevista dall’art. 2935 c.c., non rispetta i principi generali di uguaglianza e ragionevolezza. Di conseguenza la norma è, oltre a tutto, illogica.

Nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione di detta normativa, un quotidiano economico di gran rilievo ebbe a scrivere che tale norma era una “scure” che recideva i principi posti dalla citata sentenza (SU 24418/10).

Un ultima curiosità: il Presidente del consiglio dei ministri pro tempore interveniva con due atti tramite l’avvocatura dello Stato, precisamente il 19/7/11 e il 6/9/11, chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi presentati dai giudici remittenti. Il presidente del consiglio pro tempore il 6/9/11 interveniva nuovamente tramite la difesa erariale chiedendo l’inammissibilità (ben due Presidenti).

Considerazioni analoghe valgono per l’istituto della mediazione. E’ vero che ogni processo civile ha in sé un obbligatorio contenuto arbitrale. L’esempio classico è quello dei “reciperatores” nel processo civile romano, il cui contenuto era soggetto all’approvazione del magistrato.

Nessuno ha mai detto che il procedimento mediativo debba essere obbligatorio e preclusivo dell’accesso in jure. Questa è la prima volta!

Tuttavia la normativa UE prevede che questa procedura debba essere facoltativa e non obbligatoria ex lege. Se la consideriamo una condizione di procedibilità dobbiamo allora inferire che pone limiti all’accesso del giudice naturale, senza alcuna giustificazione di rilievo.

Alle banche è concesso, inoltre, un beneficio che altera la parità della posizione processuale. Infatti gli istituti di credito possono emettere un decreto ingiuntivo senza dover ricorrere alla preventiva mediazione. A tutta evidenza siamo in presenza di un ulteriore motivo di incostituzionalità.

A questo punto una domanda retorica: sono questi i governi che ci porteranno fuori dalla crisi?