La sostituzione d'imposta: responsabilità solidale tra sostituto e sostituito (Cass. Sez. Trib. 5 maggio 2011, n. 9867)

La sentenza Cass. Sez. Trib. 5 maggio 2011 n. 9867 conferma un orientamento giurisprudenziale venuto alla luce con la sentenza 2212/2000 e maturato fino, da ultima, alla sentenza 8504/2009.

Orientamento secondo cui nei rapporti di lavoro dipendente il soggetto obbligato al pagamento del tributo è non solo il sostituto ma anche il sostituito.

La Suprema Corte pretende che siano tassati dei redditi percepiti non già sottoposti a tassazione. La pretesa tributaria è legittima, tuttavia essa viene incardinata sul dipendente a nulla rilevando la sua buona fede.

Il lavoratore infatti si era affidato al regime di esenzione secondo cui non è dovuta la dichiarazione in caso di unicità dei redditi percepiti, inoltre non vi è stato un accordo fraudolento tra datore e lavoratore e non esiste a livello normativo un obbligo di controllo delle scritture contabili da parte del lavoratore.

Si statuisce che non solo l’Agenzia delle Entrate possa accertare il reddito corrisposto ma anche pretendere di riscuotere la relativa imposta dal sostituito.

Solidarietà che è invece esclusa dalla dottrina tributarista in quanto la sostituzione parziale comporterebbe obbligazioni differenti e autonome in capo ai due soggetti.

Non vi è nessuna norma di legge inoltre che preveda la possibilità per il fisco di pretendere il pagamento da entrambi i titolari del rapporto.

In altre parole, a garanzia dell’ottemperanza dell’obbligazione tributaria è previsto che il datore di lavoro nella sua posizione fiscalmente neutrale trattenga e versi un importo determinato secondo i principi di progressività sulle somme erogate al dipendente, per questo si parla di ritenuta alla fonte.

In tal modo si verifica una riscossione anticipata il cui ammontare va a coincidere nel caso in cui il lavoratore non percepisca altri redditi. In caso contrario il lavoratore è tenuto alla dichiarazione e decurta le somme già versate con il meccanismo dell’acconto.

La ritenuta e il versamento quindi gravano in capo al datore che ottempera entro il sedici del mese successivo a quello di competenza tramite modello F24. La legge prevede due distinti illeciti e due distinte sanzioni in caso di omissione dell’una e dell’altro.

Il tenore della sanzione amministrativa è del 20% dell’ammontare complessivo nella prima ipotesi e il 30% nella seconda ipotesi e ulteriormente il reato di omesso versamento con reclusione da 6 mesi a due anni nel caso in cui il datore trattenga e non versi importi superiori a Euro 50.000.

Secondo la dottrina l’obbligazione tributaria investe solo il datore in forza dell’art 15 del DPR 602/1973 che in capo al suddetto prevede l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio delle ritenute alla fonte dovute. Fatto salvo il diritto-dovere di rivalsa nei confronti del lavoratore, detto rivalsa successiva.

Un’autonoma obbligazione tributaria in capo al lavoratore è prevista in sede di dichiarazione e conguaglio a cui non si è tenuti in caso di unicità dei redditi percepiti.

Il problema che allora si pone è il seguente: il lavoratore dovrebbe addossarsi l’onere di conoscenze e competenze di natura fiscale secondo il principio che l’ignoranza in diritto non è ammessa. Anche accogliendo tale interpretazione il dipendente dovrebbe anche pagare gli interessi e le sanzioni per il tardivo versamento per un errore non suo?