Risarcimento dei danni per violazione dell'obbligo di fedeltà del coniuge (Corte di Cassazione, I Sezione Civile, N. 18853 del 15 settembre 2011)

Con questa recentissima sentenza la Suprema Corte si è pronunciata sul tema del risarcimento dei danni causati al coniuge dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, in particolare dalla violazione dell’obbligo di fedeltà.

 

 

Con atto di citazione la coniuge conveniva in giudizio il marito chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, biologico ed esistenziale, conseguenti alla violazione dell’obbligo di fedeltà, avvenuta con modalità particolarmente frustranti. Si costituiva il marito chiedendo che la domanda fosse dichiarata inammissibile, in quanto la materia avrebbe dovuto essere trattata esclusivamente in sede di separazione, e comunque infondata. Istruita la causa anche tramite CTU sulle condizioni di salute dell’attrice, il Tribunale rigettava la domanda, così come la Corte d’Appello. Avverso tale sentenza la coniuge proponeva ricorso per cassazione. La Corte accoglieva il motivo secondo il quale il Giudice d’appello aveva errato nel ritenere non risarcibile il danno in assenza di una pronuncia di addebito (nella fattispecie la ricorrente, aveva proposto, in un primo tempo, domanda di separazione con addebito, per poi addivenire alla separazione consensuale).

Il Giudice di legittimità ha innanzitutto richiamato la propria giurisprudenza (sentenza N. 9801 del 10-05-2005) secondo la quale i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, cosicché deve ritenersi che l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo. Ne deriva che la violazione di tali doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, qual è l’addebito della separazione, ma può, bensì, ricorrendone i presupposti, integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. Un dato comportamento può, pertanto, rilevare ai fini della pronuncia della separazione e, al tempo stesso, generare responsabilità extracontrattuale quando: a) l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale; b) la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità, come impone il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.; c) il danno non sia futile ma abbia una consistenza che possa considerarsi giuridicamente rilevante. Più specificatamente, il presupposto sub a) si assume ricorrente quando ad es., l’infedeltà, per le modalità di realizzazione, abbia dato luogo a lesione della salute o della dignità del coniuge.

Dunque, la mancanza di addebito della separazione non è preclusiva di separata azione per il risarcimento dei danni causati dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, purché relativi a diritti costituzionalmente protetti, non essendo rinvenibili norme di diritto positivo né ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull’addebito pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento. Sarebbe, anzi, del tutto al di fuori della logica del sistema subordinare alla dichiarazione di addebito il risarcimento del danno quando la detta violazione costituisca reato ed abbia dato luogo a condanna penale. D’altra parte, la pronuncia sull’addebito non è idonea, di per sé, in assenza dei presupposti più sopra enunciati, a fondare l’azione di risarcimento.

La medesima causa petendi può, pertanto, dare luogo ad una pluralità di azioni autonome, ciascuna caratterizzata da un diverso petitum: qualora nel giudizio di separazione non sia stato domandato l’addebito, il giudicato si formerà unicamente in relazione al petitum azionato, ma non sussisterà preclusione alcuna all’esperimento della diversa azione di risarcimento.

Si vedrà nella pratica se tale pronuncia rimarrà isolata o se si formerà, presso i Giudici di merito, un orientamento consolidato nel segno tracciato dalla Suprema Corte.