Interessi legittimi e pregiudizialità amministrativa, tra mito e realtà (Nota a Ad. Plen. 23 marzo 2011, n.3)

Il percorso verso un’effettiva tutela delle situazioni giuridiche soggettive è segnato da lungaggini che trovano spiegazione in una molteplicità fattori, ove prepotentemente si è anche inserita la normativa comunitaria, contribuendo a creare un panorama giuridico eterogeneo ove l’interprete si muove con notevoli difficoltà, col rischio di rimanere “insabbiato” in tecnicismi come quello dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione.

Una consistente spinta nel predisporre un’effettiva e piena tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive è rappresentata dal riconoscimento dell’autonomia, sotto il profilo processuale, della tutela risarcitoria dell’interesse legittimo leso per l’illegittimità del provvedimento amministrativo, per effetto del riordino avvenuto, prima con la legge n.69 del 2009 e, successivamente, con il D.Lgs.n.104 del 2010 (cpa).

Gli artt. 7 e 30 cpa sembravano aver posto la parola fine all’acceso dibattito tra il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione (in proposito si V. Ad. Plen. n.4 del 2005; Cass. Ord. nn.13659 e 13660 del 2006), sancendo la mancata operatività della pregiudiziale amministrativa sul piano processuale, coerentemente a ciò che era stato stabilito dalla giurisprudenza comunitaria dominante (si V. Corte Giust. C-87/89 del 1991, Sonito; C-153/73 del 1974, Holtz e Willemsen GmbH c. Consiglio e Commissione).

Sennonché la recentissima pronuncia dell’Adunanza Plenaria (del 23 marzo 2011, n.3) se da un lato abbandona tale regola in chiave di rito, dall’altro ne apprezza decisamente la sua operatività sotto il piano sostanziale, ossia la sua rilevanza causale della mancata impugnazione tempestiva come fatto valutabile al fine di escludere o limitare il quantum del danno risarcibile.

Più semplicemente, i giudici, alla stregua dell’art.1227 c.c., valutano il comportamento complessivo delle parti alla luce dei canoni di buona fede e del principio di solidarietà, non solo con riferimento al mancato esperimento dell’azione demolitoria ma anche dell’omessa attivazione di altri strumenti potenzialmente idonei ad evitare il danno, come il ricorso straordinario al Capo dello Stato (azione anch’essa esperibile entro 120 gg a pena di decadenza) ovvero la presentazione del riesame al fine di attiviare il potere di autotutela della P.A.

L’esito interpretativo della sentenza in parola va, dunque, nel senso di escludere la possibilità per il privato di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno, ogni qualvolta, in base ad un giudizio prognostico “più che strettamente causale”, che si dimostri che non si configura alcuna perdita patrimoniale per il danneggiato in quanto l’avrebbe ugualmente evitato o subito usando l’ordinaria diligenza. Pertanto, il giudicante non pronuncerà una sentenza in rito per inammissibilità della domanda per mancanza di una condizione di procedibilità; bensì, delibererà una sentenza di rigetto nel merito a causa dell’infondatezza della domanda di risarcimento del danno presentata dall’amministrato.