La certificazione dei contratti di lavoro, introdotta dal D.lgs. 276/2003, può essere considerata come un ottimo strumento di tutela per il datore di lavoro da eventuali future pretese del lavoratore in merito alla qualificazione del rapporto dedotto in contratto nonché da eventuali provvedimenti sanzionatori o recuperatori degli istituti previdenziali o dell’Agenzia delle entrate.
Tale procedura si svolge su base consensuale davanti a una commissione variamente istituita presso enti bilaterali, Direzioni territoriali del lavoro o Consigli provinciali dei consulenti del lavoro attraverso un’istanza redatta per iscritto a cui segue entro 30 giorni, dopo l’esame della documentazione e l’audizione delle parti, l’atto di certificazione.
Il provvedimento conferisce certezza giuridica al contratto sino a un’ eventuale sentenza di merito contraria.
A seguito del Collegato lavoro la certificazione opera con riferimento a tutti i contratti nei quali sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro. Oggetto di certificazione possono essere anche le rinunce e le transazioni, la clausola compromissoria e le tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo. Inoltre è esperibile non solo al momento della stipulazione del contratto, ma anche in corso di svolgimento, con effetto retroattivo.
Tale effetto di stabilità e inoppugnabilità può esser caducato in caso di impugnazione dinnanzi al Giudice del lavoro, previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso la stessa commissione di certificazione, per erronea qualificazione, vizi del consenso e difformità tra programma negoziale certificato e sua successiva attuazione di fatto, o in caso di ricorso al Tar per violazione del procedimento o eccesso di potere.
Sotto il punto di vista degli effetti sul lato contrattuale essa è un’ulteriore applicazione del principio di volontà assistita che consente di attenuare il regime inderogabile delle tutele.
Sotto quello degli effetti nei confronti dei terzi (enti previdenziali, pubblica amministrazione, fisco), se è indubbio che l’attività ispettiva rimane pienamente operante e sempre ammessa, occorre considerare la validità di provvedimenti amministrativi contrastanti con la qualificazione del rapporto voluta dalle parti.
Secondo l’opinione prevalente la certificazione provoca la nullità di tutti i provvedimenti amministrativi o giurisdizionali in contrasto con essa e onera enti previdenziali, amministrazione finanziaria e direzione territoriale del lavoro a impugnare l’atto di certificazione.
Sono preclusi quindi in sede ispettiva quei poteri amministrativi che consentono l’accertamento unilaterale della natura giuridica del rapporto.
Solo a seguito di accertamento giudiziale e quindi a seguito di una pronuncia di merito che ha effetto retroattivo sin dal momento della conclusione del contratto tali enti potrebbero operare la riqualificazione e pretendere il pagamento delle somme conseguenti e delle eventuali sanzioni.
Altrimenti è comunque concesso di richiedere un provvedimento cautelare d’urgenza anche prima del giudizio di impugnazione o nel corso del suo svolgimento.
Tale impostazione può essere supportata positivamente dalla considerazione che le commissioni di certificazione sono composte da esperti che hanno una funzione di valutazione tecnica di quanto dedotto, ma anche di consulenza e assistenza per le parti. Proprio l’intervento di un terzo super partes nonché la possibilità da parte delle autorità pubbliche verso cui il provvedimento è destinato a produrre effetti di presentare osservazioni nel corso del procedimento di certificazione dovrebbero rendere in linea di principio immune l’accordo da intenti fraudolenti.