La regolazione dell'economia con lo strumento fiscale: una medicina o un veleno tossico?

Verso la metà del secolo scorso sorsero delle interessanti questioni sulla regolazione dei punti di equilibrio economici (oggi considerati dalle migliori scuole un mito mai realizzato). Alcune scuole sostenevano che la regolazione si sarebbe dovuta effettuare con lo strumento monetario, mentre altre sostenevano che lo strumento fiscale avrebbe conferito certezza al rapporto economico evitando le inevitabili confusioni derivanti dall’applicazione delle teorie monetarie. Facciamo grazia al lettore dell’oceano di scritti in merito e rileviamo che queste prolusioni teoriche sono rimaste tali.

Il problema in Europa venne affrontato con l’analisi del bilancio dello Stato. In breve: si analizzò la figura della spesa pubblica, del debito pubblico e del prodotto interno lordo detto comunemente PIL, in teoria espressiva del valore della produzione.

Si deve premettere che il PIL, antecedente dal quale devono prendere le mosse le successive considerazioni, non è un’espressione del valore aggiunto calcolato secondo il metodo privatistico: infatti tra le voci che lo compongono vi è l’Iva al consumo, i contributi europei, i proventi del riciclaggio, i proventi dell’inquinamento, delle catastrofi naturali ed altre ancora.

L’altra figura è il debito pubblico: lo Stato si indebita verso i terzi con l’emissione di obbligazioni pubbliche ed altri mezzi al fine di finanziare particolari settori dell’economia e della pubblica amministrazione. Infine la spesa pubblica, cosa diversa dal debito pubblico, consiste nelle spese pagate dallo Stato nell’esercizio annuale, che trovano riscontro nella c.d. legge finanziaria.

Le spese sono pagate con gli introiti fiscali, cioè con l’imposizione delle imposte e tasse.

Il trattato di Maastricht ha imposto una proporzione tra le tre figure, nel senso che l’eccesso del debito e della spesa pubblica, come è avvenuto nel caso dei bonds Argentini, puo’ comportare il mancato pagamento degli obblighi statali ed in tal caso si parla del “default dello Stato” incapace di onorare i debiti, figura che si intende evitare.

E qui incominciano i problemi, soprattutto quelli dell’Italia, Grecia, Portogallo etc.

Nonostante le sottili distinzioni tra PIL ideale e PIL reale, possiamo affermare che questa figura non è affatto espressiva del valore reale della produzione.

A questo punto possiamo ragionare in termini di macroeconomia, ricavando elementi significativi dal sistema della contabilità di Stato.

Il sistema contabile statale è fondato sulle tavole “input output del Leontief (1941)”, modificato in seguito dallo Stone.

Il sistema contabile statale della contabilità “matriciale” (da matrici), ha origini italiane, il c.d. “scacchiere” del Comm. G. Rossi, insigne studioso della materia. Ora siamo passati dall’antico pallottoliere al computer, sempre piu’ imbevuti di cultura anglosassone e statunitense, i cui principi contabili (privati o pubblici) si stanno diffondendo.

L’impostazione della contabilità di Stato, di là delle denominazioni delle singole matrici utilizzate (produzione, importazione, consumi etc), è connotata dalla gestione “per competenza” dei rapporti finanziari. I residui attivi e passivi sono frutto anche delle differenze tra il bilancio di previsione ed il bilancio consuntivo.

La critica svolta dal Pontani (e da altre scuole v. sito francopontani.it link studi) osserva “ in primis”, che il bilancio dello Stato (“per competenza” e “cassa” dal 1978) in realtà è un sistema “accrual basis”, che comporta una possibile assenza di correlazione tra le fasi della spesa ed il momento di insorgenza dei costi. (In via di ulteriore specificazione: il c.d. sistema “accrual basis” assegna contabilmente costi e ricavi all’esercizio in cui sorgono, senza considerare se ci sono state altre movimentazioni. Al contrario il “cash basis” (metodo di cassa) evidenzia i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio sulla base della reale movimentazione.)

Anche per questa ragione il valore della produzione equivalente valutato alla stregua del giuscontabilismo non puo’ essere correlato al valore aggiunto effettivo dell’impresa e cio’ a parere dello scrivente, costituisce un elemento distorsivo nella dinamica dell’economia reale di non facile soluzione.

Sotto altro profilo: per ciò che attiene alla “contabilità economica”, inserita nel sistema unico della contabilità statale, si deve osservare, relativamente all’effettiva allocazione ed utilizzo delle risorse, che si rilevano dei “disallineamenti sistemici”, p.es. esborsi non corrispondenti all’acquisizione di risorse, dei disallineamenti temporali e strutturali (centri di costi diversi da quelli che utilizzano le risorse).

In breve sintesi: lo schema dei costi “per natura” nel budget dello Stato del 2008 rammostra “conti dislocati” e “fondi da assegnare” la cui analisi è invero ardua.

Cambiare questo sistema contabile ed armonizzarlo nella visione dell’attività economica non è impresa di poco momento. Infatti richiederebbe un team di tecnici ed una ricerca in tempi lunghi. I tentativi in tal senso sono sempre stati fermati da ogni governo.

Nel caso di caduta del reddito ove contribuenti e imprese si trovino in una posizione di squilibrio illiquido, le tasse non saranno pagate, indipendentemente da una maggiore o minore imposizione. Se il sistema fiscale, anziché usare questo strumento per raggiungere equilibri nel sistema generale del reddito, si serve dell’applicazione dell’imposta per coprire i buchi lasciati da gestioni dissennate, in questo modo si verificherà un ulteriore distorsione dell’economia, in altre parole, un sintomo della crisi secolare. Di conseguenza il sistema fiscale applicato in questo modo non rende certo il reddito, come postulavano le scuole piu’ serie, ma lo distrugge.

Resta a dire che lo stato di diritto, come sostiene oggi (e ieri) la maggioranza degli studiosi, è finito agli inizi del novecento. La mutazione capitalistica ed industriale di allora ha fatto nascere il c.d. “stato sociale”. Altrove abbiamo descritto le anomalie dello stato sociale (v. sito studiolegalecoticoni.com e francopontani.it voce studi sopracitata) che appare anch’esso alla fine.

Il timore che dovrebbe sorgere in ogni persona sensata si concretizza in una domanda: “Dove ci condurrà questa palingenesi, questa mutazione globale in altre parole, in atto, non compresa dal collettivo umano?”

Riteniamo che la risposta possa darla solo un profeta.