I pazzi ed i Savi, pensiero dell'avv. Pietro Coticoni

Un excursus storico può aiutarci a comprendere le anomalie del sistema italiano. Illuminante in tal senso è l’analisi effettuata da F. De Sanctis con profondità di pensiero nel saggio “L’uomo del Guicciardini”.

L’autore osserva che, nel periodo rinascimentale, l’Italia era salita al piu’ alto grado di potenza, ricchezza e gloria nelle arti, nelle lettere e nelle scienze, raggiungendo quel segno cui poche nazioni privilegiate sogliono giungere, da cui erano lontanissime altre nazioni che venivano chiamate con somma superbia “barbari”.

Tuttavia al primo urto con questi “barbari” l’Italia crollò e fu cancellata dal ruolo delle nazioni.

Il Sismondi sostiene che in quell’epoca mancò il sentimento nazionale degli italiani che si sentivano cosmopoliti, mossi da un più alto sentimento e furono i benefattori dell’umanità con l’olocausto di se stessi. Pietosa giustificazione di chi non vuole ammettere la verità!

Questa suggestiva affermazione appare, tuttavia, soltanto l’affermazione di chi si crede superiore e non vorrà mai migliorare.

Il giudizio del De Sanctis è drammaticamente lucido e descrittivo di un modo di pensare che ancor oggi permane, in uno scenario ove è presente un’oscura coscienza di mali inevitabili e dissoluzioni sociali, avvertendo istintivamente e timorosamente una palingenesi storica foriera di catastrofi e mali storici.

Il De Sanctis ha espresso un giudizio severo sull’”Uomo del Guicciardini” rammentando la celebre frase del Machiavelli: “ Tutti e profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno”.

Non furono solo le armi a rovinare l’Italia della cultura, ma la struttura ed i principi degli stati invasori che si trovarono innanzi l’ “Uomo del Guicciardini”.

Ma chi era in realtà quest’uomo? Anzitutto un uomo dotato di cultura ed arte politica-diplomatica a livello altissimo; un uomo che riteneva, con le proprie capacità politiche, in uno scenario desolante di incapacità pubblica e privata, di poter disarmare gli armati e far tacere i cannoni dei popoli che avevano concetti affatto diversi.

Il nostro “Uomo” è definito dal Guicciardini “Uomo savio”. Senza ideali e dedito allo “suo particulare”, cioè al proprio interesse personale.

Uno spirito progredito che esclude l’immaginazione, la fede, gli affetti nonché qualsiasi ideale.

La maggiore qualità di questo “Uomo savio” è la “discrezione”, nel significato di “saper discernere”.

Senza questa qualità la dottrina, l’insegnamento storico e persino la scienza, non hanno valore alcuno.

Di conseguenza l’esperienza è abbinata alla coscienza della superiorità culturale e dell’ingegno, quindi il “savio” confida di poter usare gli altri uomini, sempre inteso al proprio scopo, con la certezza presuntuosa di realizzare “lo suo particulare”, incurante della dissoluzione in cui versa la società.

Un individuo simile al nostro “Uomo savio” puo’, forse, sopravvivere in una società afflitta dalla corruzione e dal decadimento storico, ma una società sicuramente non puo’, nel difetto assoluto di valori morali.

Costoro giudicano “Pazzi” coloro che, sacrificando “lo suo particulare” perseguono con rettitudine i valori della vita.

L’Italia perì piu’ volte perché, nel corso della storia, i “pazzi” furono pochi, anzi! Troppo pochi!

La saviezza del Guicciardini, espressa da servitori e da affaristi di bassa lega con linguaggio aulico, sostituì ai valori civili, l’intrigo, la truffa, la corruzione, la doppiezza, la simulazione ed infine la disonestà civile, fondamento della corruzione e della dissoluzione degli ordinamenti.

Oltre a tutto questa miserevole saviezza, figlia ante litteram del peggior realismo politico, fu inutile: nella procella comune perirono tutti, savi o pazzi che fossero.

Questo terribile “Uomo savio” lo incontriamo in ogni epoca ed in ogni ordinamento. Quest’uomo impedirà le giuste realizzazioni se non si trova il modo di fermarlo nella propria coscienza.